Storie di Bulimia: la storia di A. 24anni
Il Caso di A.
“Dottore io sono una bulimica”
“Cioè”
“Come cioè? Io sono una di quelle che mangia fino ad abbuffarsi per poi vomitare, lo faccio da quando avevo tredici anni. Insomma sono una bulimica”
“Beh, ribatto che deciderà solo l’analisi cioè che lei è”
Sono queste le prime parole che mi dice A. appena apro la porta del mio studio e mentre ancora non si è seduta sulla sedia.
Mi dice inoltre che non è la prima volta che incontra uno psicologo, ha avuto in passato già tre percorsi durati non più di una decina d’incontri, e che se ora viene da me è solo perché le sue amiche e sua madre sono preoccupate del suo “essere sempre nervosa e dei suoi scatti d’ira”.
Aggiunge inoltre che non è molto convinta che andare da uno psicologo possa davvero servire a qualcosa e che tutto sommato lei già conosce il motivo scatenante della sua bulimia.
“Vede Dottore io da piccola mi sono identificata con mia madre e quindi sono stata la moglie di mio padre, piuttosto che la figlia”.
Queste parole così come l’uso di termini tecnici della “vulgata Psi”, dei quali A. fa molto sfoggio durante i nostri primi incontri, dice essere un retaggio dei precedenti percorsi e che a detta dei precedenti Psicologi e Psichiatri che ha incontrato era una condizione necessaria “per lavorare bene”.
Le rispondo che l’unica condizione è di dirmi tutto quello che le passa per la mente senza pensarci troppo e senza omettere le cose che possono sembrarle insignificanti.
Si mostra molto sorpresa da questa mia richiesta e mi dice “ma come non vuole che le parli della mia famiglia?”
Resto in silenzio, senza rispondere alla sua domanda. Mi dice che così è più difficile e che “non so cosa dirle, io sono abituata a rispondere alle domande che mi facevano gli psicologi da cui sono andata………parlare io! cosa le posso dire……………………cosa le voglio dire”
“Già cosa mi vuole dire?” Rispondo.
Resta in un pensieroso silenzio che rompe dopo qualche minuto con un fragoroso “Boh?”
“Eh BoH!” Ribatto e chiudo la seduta.
Mi saluta dicendo che non sa se tornerà anzi ne è certa non tornerà più.
Seguo oramai A. da circa 8 mesi.
La storia di A.
A. ha ventiquattro anni, laureata da pochi mesi, ha avuto fino ad ora solo lavori saltuari e solo ultimamente ha trovato collocazione in un call center del suo paese.
Mi racconta di come per lei studiare è sempre stato difficilissimo
“non che non avessi voglia ero molto interessata, è solo che dovevo sempre cercare di raggiungere il massimo dei voti, all’Università non potevo accettare nessun voto che non fosse il 30…….è stata durissima non mi sono mai sentita all’altezza degli altri miei colleghi”.
Le sue parole contrastano molto con il racconto della sua carriera scolastica.
Prima della classe fin dalle elementari e per tutto il percorso delle medie, sia inferiori che superiori, A. riceve spesso elogi dai suoi docenti che le auspicano una carriera brillante sia negli studi che nel mondo lavorativo.
Mi racconta di quando durante l’ultimo anno delle scuole superiori la sua insegnante di latino la annoverò, unica ragazza della scuola, abile per il Certamen Brunoriano.
“Quello fu un giorno strano ero felicissima, ma al tempo stesso ritenevo che ci fosse un errore e che se davvero ero io la più brava dell’Istituto allora voleva dire che il livello della mia scuola era proprio basso”.
Mi riferisce di come questa sua insicurezza sia un tratto che la caratterizza fin da bambina e che non attiene al solo percorso scolastico ma anche alla sua vita sociale nonché amorosa.
“dell’amore non ne parliamo proprio dottore sono un disastro sono sempre insicura”.
E’ legata sentimentalmente ad M. da circa 9 anni, conosciutisi giovanissimi hanno avuto all’inizio una storia burrascosa
“ci siamo lasciati e ripresi più e più volte solo negli ultimi anni le cose sembrano andare meglio”.
Mi parla di M. e di come pur avendo ormai una storia lunga e consolidata le cose non vanno come lei vorrebbe è come se lei non riuscisse a darsi completamente a M. e in quelle volte che lei riesce a farlo, allora è M. che le sembra sfuggente e infondo non averla mai capita veramente.
Mi racconta di come il loro rapporto è costellato da grandi litigate, che spesso avvengono per motivi banali e durante le quali lei dice “do il peggio di me”.
“io spesso tendo a trattenere le mie emozioni, non riesco a tirarle fuori, sono capace di subire tutto da M. per settimane senza dire nulla, poi in quei momenti riesco a tirare fuori tutta la mia rabbia. Mi creda divento una belva urlo, tiro pugni sono una furia”
Molti dei nostri incontri sono scanditi dai racconti della storia d’amore di M. e A., e di come l’insoddisfazione sia sempre stata la caratteristica di questo rapporto.
Dice infatti che M. non l’ha mai capita fino in fondo e che anche la loro sessualità ha qualcosa che non va’
“è come se tra di noi ci fosse un muro, non sono mai io a prendere l’iniziativa è sempre lui a cercarmi, anzi spesso io mi concedo solo per non dispiacerlo ……….io non provo nulla“
Un dubbio d’amore
A. arriva molto agitata ad un nostro incontro e mi dice che ha bisogno di parlarmi di un suo dubbio.
Mi racconta che alcune settimane prima aveva conosciuto una ragazza con la quale era nata subito una forte simpatia trasformatasi in breve tempo in una “solida amicizia”.
E’ proprio come lei, si comprendono con uno sguardo riescono a capirsi senza parlare provano le stesse cose “e poi anche G. ha problemi di bulimia”.
Mi dice che il sabato precedente il nostro attuale incontro ha invitato G. a casa sua, sono state tutta la serata in compagnia e dopo avere suonato M., che è un musicista; le ha raggiunte.
Hanno bevuto qualcosa insieme ed a fine serata a causa di una forte emicrania A. chiede a M. di riaccompagnare G. a casa.
Mi dice che per lei era una cosa “normale conosco G. e mi fido di M”
La giornata successiva raccontando l’episodio ad una amica questa le ribatte al telefono “Ma come non sei gelosa, se succedeva qualcosa?”
A. viene assalita da un dubbio “come non sono gelosa?”
Mi inizia allora a parlare di M. e del suo lavoro, che spesso lo porta ad essere per intere serate in diversi locali dell’hinterland napoletano ed ultimamente fuori regione per diversi giorni; e di come questo le dia molto fastidio, ma in fondo non può opporsi perché “non sarebbe giusto”
A. mi racconta un episodio; durante un litigio con M. a quest’ultimo suona il cellulare
“M. mi ha dato l’impressione di essere molto imbarazzato da quella telefonata parlava con mezze parole e dopo pochi secondi ha riattaccato quando gli ho chiesto chi fosse mi ha risposto R., un nostro amico, eppure io ne sono certa quella al telefono era la voce di una donna”
Mi racconta un altro episodio avvenuto pochi mesi or sono, quando all’entrata in un locale nel quale il gruppo di M. avrebbe dovuto suonare scopre quest’ultimo in “atteggiamenti ambigui con una cameriera”.
Mi dice che in un primo momento la scena l’aveva molto turbata ma di non averne fatta parola con il suo fidanzato perché in fondo non facevano niente di male.
“Ma insomma Dottore io sono gelosa o no?”
La famiglia
“sono loro i colpevoli”
Queste le parole ferme e raggelanti che il suo precedente terapeuta le aveva detto al termine di un incontro e che in un primo momento del nostro lavoro compaiono nei discorsi di A. con un carattere di fermezza dogmatica.
Separatisi quando A. aveva 13 anni, tuttora continuano a punzecchiarsi ed a litigare di volta in volta per questioni riguardanti l’educazione dei figli o il possesso e la gestione di un piccolo appezzamento di terreno.
Dice di non avere molti ricordi in merito alla sua infanzia se non inerenti alle continue e furibonde litigate che avvenivano in casa tra i genitori, una di queste la ricorda ancora con particolare senso di angoscia
“ricordo che io e mia madre rientrando in casa dopo essere state in giro ascoltammo mio padre mentre, a telefono con una donna, le dichiarava il suo amore e la sua difficoltà a vivere con mia madre”
Udite queste parole la madre di A. si precipita urlando in cucina, afferra un coltello col quale cerca di colpire il padre e solo dopo l’intervento del fratello di A. ,appena rientrato in casa, la donna si avvia verso la stanza da letto e si sdraia sul pavimento dicendo al marito che così avrebbe atteso la morte.
A. mi racconta di come spesso il padre, con il quale solo nell’ultimo periodo è riuscita a stabilire un forte legame, spesso le diceva di essere come la mamma ” voi due siete identiche”, “ sei proprio come lei” e di come queste frasi l’abbiamo in un primo momento allontanato da lui.
Un ricordo d’infanzia
Ricevo una telefona nella quale A. mi chiede di incontrarmi in quanto è molto agitata per un sogno che ha fatto e che le “è incistato nella mente”.
Durante la successiva seduta mi racconta che la notte precedente ha sognato
“due ladri che entravano in casa, mentre mio fratello dorme avvolto tra le coperte in un’altra stanza, io nel letto mi sdoppio in una A. corporea ed un’altra eterea, due uomini si siedono al bordo del letto e mi toccano le parti intime” poi aggiunge “ora che ci penso era mio cugino G.” le parole di A. si interrompono solo per lasciare spazio alle lacrime intervallate da singhiozzi.
Al mio “allora” che pronuncio con voce ferma fa seguito un lungo silenzio e da una scena infantile che proprio in quel momento le viene in mente.
“Sono sotto la scrivania a casa di mio zio con mio cugino M. che all’improvviso mi infila le mani nello slip, sul letto poco distante mio fratello con mia cugina che disegnano, ma G. non c’era nella stanza o almeno io non ricordo”.
Dopodiché il racconto si interrompe perché A. dice di non riuscire a ricordare nulla più.
Non parlerà più nelle sedute successive di questo ricordo, si limiterà solo a dirmi che la notte successiva ha fatto un altro sogno che “è intimamente collegato a questo”.
Alla mia domanda su cosa le facesse ritenere il sogno legato al ricordo, mi risponde che non lo sa ma che è così.
Il sogno la vede mentre parlando al telefono con il suo compagno è intenta a pulire con uno straccio la sua scrivania sporca e piena di polvere.
La colpisce un elemento, sulla scrivania sono presenti delle macchie di colore nero che le i evita accuratamente di pulire,
“spolvero tutto intorno ma proprio quella macchia lì non la voglio togliere, la costeggio ma non voglio toglierla”.
“Proprio quella lì” ribatto e chiudo la seduta.
Dopo questo sogno ne seguiranno altri che lei porterà nelle sedute seguenti chiedendomi di “analizzarli…………è così che lavora uno Psicologo, No?”
La bulimia
Ricorda che intorno ai tredici anni ha avuto inizio il suo “cattivo rapporto con il cibo” , e sono comparse le prime abbuffate che normalmente avvenivano di sera o nei fine settimana quando la casa era vuota, e anche allo stesso periodo viene fatto risalire un umore sempre più alterato, e un consecutivo periodo di forte stress.
Da allora la bulimia non l’ha mai lasciata, fatto eccezione negli ultimi due –tre mesi nei quali, a suo dire, non ha più bisogno di abbuffarsi e di “ mangiare in maniera smodata”.
Collega l’insorgenza del sintomo all’attenzione mass-mediatica e sociale in generale, al fenomeno della bulimia e dell’anoressia che sul finire degli anni 90 era oggetto di discussione.
Ricorda infatti che in quegli anni ascoltava spesso discussioni riguardanti i disturbi della condotta alimentare, racconta inoltre che era venuta a conoscenza dell’anoressia occorsa ad una sua compagna di classe.
Dai 13 ai 24 anni dice di non aver fatto altro che abbuffarsi
“adoravo la sensazione del pieno, volevo sentire la mia pancia piena fino all’inverosimile, solo allora stavo bene e non avevo bisogno di nessuno”.
Mi racconta che gli episodi aumentavano nei periodi in cui era “sotto stress”.
Racconta inoltre che il rapporto con il suo corpo è sempre stato fonte di preoccupazione e di imbarazzo, da “estraneo “ prima a “oggetto di paragone” ora ha sempre avuto a difficoltà a viverselo come proprio “ fin da ragazzina” racconta “avevo la sensazione che il mio corpo fosse un involucro, come una sorta di doppia pelle e che mi avvolgesse ma che non mi poteva rappresentare” mi dice inoltre che per anni ha avuto la sensazione che il suo corpo fosse un intralcio, una gabbia che pur imprigionandola e soffocandola, non potesse contenerla a pieno
“C’era sempre qualcosa che il mio corpo non poteva contenere di me, qualcosa che forse nella mia vita ha preso voce con la malattia”
Racconta in uno dei nostri ultimi incontri di come la madre fin da piccola le avesse detto, con tono fermo e distaccato “che brutta che sei, le altre bambine sono carine, tu no!” e di come tutt’ora spesso, con il consenso di A. che appare divertita, mostri agli avventori che frequentano la loro casa una foto di A. piccola mentre è ferma a guardare un gatto, commentando ogni volta “vedete come era brutta da piccola”
Mi racconta in una delle ultime sedute che ora è riuscita a creare riesce a ricreare il senso del pieno con l’acqua, porta sempre con sé una bottiglina e quando vuole può bere e questo la fa stare bene.
Sono stata io
Ricevo una telefonata. Poi un silenzio scandito da un respiro affannato simile ad un rantolo in sottofondo che dura alcuni secondi al quale fa seguito con voce ferma e tono altisonante un “ho capito tutto, ho bisogno di vederla, adesso tutto mi è chiaro”
Le parole dapprima scandite con forza, quasi urlate si intrecciano in pochi attimi con altre appena accennate ed al limite dell’udibile.
Nell’incontro successivo ed negli altri che scandiscono il nostro ultimo mese mi racconta di come a seguito di alcune mie “punteggiature nelle frasi che io le dico” ha capito che forse nel suo malessere e “ nel mio modo di stare al mondo” lei è “ la burattinaia di tutto , si…….si, sono stata Io”.
Mi racconta di come questa sensazione di intimità rispetto al suo essere ed al suo modo di relazionarsi con gli altri all’inizio le ha provocato problemi “non accettavo l’idea, ho pensato più volte di lasciare la terapia…non sopportavo i suoi silenzi e il suo neutralismo nelle questioni di famiglia, io volevo che lei trovasse dei colpevoli”
Mi racconta di come oggi riesce a cogliere il suo ruolo attivo in tutto quello che succede; con il fidanzato, con le amiche con la famiglia ma soprattutto con la sua storia. Oggi aggiunge non ha più bisogno di trovare colpevoli ma vuole capire perché?
“dottore perché ho fatto tutto questo?”.
Oggi A. viene a presentarmi una nuova domanda, che non punta più al sintomo o agli altri, ma a sé stessa, all’ intimità del suo essere nel mondo e nel discorso.
Il lavoro continua.
Affonta le tue paure
Uscire dal tunnel è possibile. Se stai combattendo contro la bulimia, un esperto in terapia psicologica può aiutarti. Conoscere cos’è e come intervenire pò essere fondamentale per superare questo momento.
Cosa significa essere bulimica? Cosa accade nella mente di una ragazza che si sente appagata solo se mangia fino ad abbursi? Quali sono le prime avvisaglie? Come può un genitore o un amico intervenire prima che sprofondiamo nel tunnel?
Tutte queste domande possono trovare risposta.
Leggere altre esperienze, e conoscere altre storie di bulimia può aiutarci a capire quando è il momento di intervenire e chi ci può aiutae.
Consultare un esperto in disturbi alimentari può essere sicuramente una chiave di successo.
Dott. D'Alisa Marco - Psicologo
Il Dott. D’Alisa Marco, Psicologo esperto in bulimia e in terapia psicologica dei disturbi alimentari. Prenota una consulenza di psicoterapia on line, telefonica o via chat
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