Disturbi del Comportamento Alimentare e Società
Restrizione Alimentare e Anoressia | La Storia
Una delle prime descrizioni di un quadro clinico di anoressia si può ritrovare in uno scritto di San Geremia, risalente al IV secolo d.c., dove è descritta la condotta di alimentazione restrittiva, fino al digiuno, da lui consigliata alle sue discepole. Anche per quanto riguarda Santa Caterina da Siena si hanno notizie di digiuni prolungati. I primi casi di cui abbiamo una documentazione sono quindi legati all’epoca in cui la religione si accompagnava ad una mortificazione del corpo. Questa è la “Santa Anoressia”, di cui parla Bell (1985).
Nel periodo seguente alla riforma, l’attenzione delle pratiche religiose si sposta dal sacrificio del corpo alle opere di bene, vedendo così sparire progressivamente queste particolari forme d’astensione dal cibo legate a fattori religioso-culturali.
Nonostante le molte differenze tra il digiuno ascetico e l’anoressia, si può riconoscere un punto in comune: il desiderio di perfezione e purezza, desiderio mai colmato di essere santa o di essere magra, ma soprattutto un modo per ribellarsi a una società che non riconosce la donna come soggetto. Si rende evidente, in entrambi i casi, anche la dipendenza del sintomo dal valore che la società stessa gli attribuisce. Nella santa anoressia veniva però mantenuta una dialettica con l’Altro che nell’anoressia nervosa cade.
Man mano che il rapporto tra digiuno e religione andava sfumando, i medici fecero dell’astinenza dal cibo un problema di salute, una patologia. Il mondo medico ha sempre attribuito un’origine psichica a questo disturbo, fin dall’epoca in cui il medico inglese Morton fece una dettagliata descrizione del quadro clinico, risalente al 1689, in cui tra l’altro dice
“… giudicai che questa consunzione provenisse dal Sistema Nervoso … apparentemente la causa era da ricercarsi in … un insieme di pene e passioni della mente…”.
Il termine Anoressia Nervosa è stato coniato dal medico inglese Gull nel 1873, mentre negli stessi anni lo psichiatra francese Lasègue parla di Anoressia Isterica, riferendosi ad un quadro del tutto simile, ma aggiungendo un rilevante numero di osservazioni empiriche. Tra i due studiosi si accese all’epoca un ampio dibattito che, come vedremo più avanti, è ancora attuale.
Lasègue inserisce infatti l’anoressia nella categoria isterica, come una perversione intellettuale, che consiste nel fatto di negare la malattia stessa, in un’identificazione completa col sintomo, “io sono anoressica”. Questa posizione mantiene però una dialettica con l’altro, rifiuta il cibo dell’Altro che sa dare solo quello, per cercare di provocare il desiderio e quindi aprire una mancanza nell’altro.
Per contro Gull, e con lui la scuola inglese, sottolinea il versante più propriamente psicotico della patologia, in un assorbimento completo del soggetto nel progetto di dimagrimento. Un’origine nervosa, basale, una fissazione narcisistica che taglia fuori l’Altro dal rapporto intersoggettivo, diventando completo ripiegamento su se stessa e sul suo sintomo. È questo il tratto delirante della patologia che si esprime in un delirio sul corpo.
Disturbi del Comportamento Alimentare Oggi | Diagnosi Secondo il DSM
Oggi i segni e sintomi delle sindromi classificabili come disturbi del comportamento alimentare (DCA) sono riconosciuti in campo internazionale, con riferimento al Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM), che è attualmente lo strumento maggiormente utilizzato per la diagnosi descrittiva.
Il DSM descrive le due seguenti categorie specifiche:
Criteri diagnostici per Anoressia Nervosa:
A) Rifiuto di mantenere il peso corporeo al di sopra o al peso minimo normale per l’età e la statura (peso corporeo al di sotto dell’85% rispetto a quanto previsto).
B) Intensa paura di acquistare peso o diventare grassi, anche quando si è sottopeso.
C) Alterazione del modo in cui il soggetto vive il peso o la forma del corpo, o eccessiva influenza di questi sui livelli di autostima, o rifiuto di ammettere la gravità della attuale condizione di sottopeso.
D) Amenorrea, cioè assenza di almeno 3 cicli mestruali consecutivi.
Sono inclusi due sottotipi:
- Con Restrizioni: non ha presentato abbuffate o condotte di eliminazione;
- Con Abbuffate/Condotte di Eliminazione: che si sono presentate regolarmente (vomito autoindotto, uso di lassativi, diuretici …).
Criteri diagnostici per Bulimia Nervosa:
A) Ricorrenti abbuffate, caratterizzate da entrambi i seguenti:
- mangiare in un definito periodo di tempo una quantità di cibo significativamente maggiore di quella che ci si aspetterebbe;
- sensazione di perdere il controllo durante l’episodio.
B) Ricorrenti ed inappropriate condotte compensatorie per prevenire l’aumento di peso (vomito autoindotto, abuso di lassativi, diuretici…).
C) Le abbuffate e le condotte compensatorie si verificano entrambe in media almeno 2 volte alla settimana, per 3 mesi.
D) I livelli di autostima sono indebitamente influenzati dalla forma e dal peso corporei.
E) L’alterazione non si manifesta esclusivamente nel corso di episodi di Anoressia Nervosa.
Sono inclusi due sottotipi:
- Con condotte di eliminazione.
- Senza condotte di eliminazione: ha utilizzato altri comportamenti compensatori inappropriati (digiuno, esercizio fisico eccessivo).
La Diagnosi Psicodinamica
Per quanto riguarda la diagnosi psicodinamica, si rende indispensabile un approccio che valuti quello che si pone dietro a segni e sintomi, in una ricerca di significato. In primis è opportuno parlare di posizione anoressico-bulimica, poiché vi è un’origine psicodinamica comune. Questo traspare dal fatto che molte persone presentano contemporaneamente sia anoressia che bulimia, oppure alternano le due forme, hanno inoltre in comune l’idea fissa per il peso corporeo e l’importanza attribuita all’immagine estetica.
Nella mia esperienza l’Anoressia Nervosa e la Bulimia Nervosa non sono altro che due facce della stessa medaglia, dove l’anoressia indica la realizzazione dell’Ideale del soggetto, mentre la bulimia il suo naufragio legato all’irruzione di qualcosa che sfugge al controllo del soggetto e che non permette di sovrapporre l’immagine del corpo reale a quello ideale.
All’origine del discorso anoressico-bulimico c’è un’incomunicabilità di fondo tra un’idea di corpo ideale (anoressia) e una forza non dominata dal soggetto che spinge a comportamenti disturbanti nella sfera alimentare (bulimia).
Il termine “discorso” è usato con riferimento alla particolarità di questo sintomo, che tende a nascondere dietro di sé la struttura sottostante del soggetto. Quindi dietro questo velo posto dal sintomo, che rende tutte le anoressiche uguali tra loro, va sempre ricercata la soggettività, la particolarità nonché l’unicità del soggetto in analisi. Allo stesso tempo è un discorso che va tenuto in considerazione, perché si costituisce in modo specifico, che non si può liquidare come semplice sintomo, perché rappresenta una vera e propria posizione soggettiva di fronte all’Altro.
Il Ruolo della Società nei DCA
Come evidenziato dai dati epidemiologici, l’anoressia e la bulimia sono sintomi che appaiono nelle civiltà occidentali, soprattutto nell’epoca del capitalismo avanzato.
Fin dalle opere di fondamentale importanza di H. Bruch è stato posto l’accento sul ruolo della società in questo disturbo. Sembra essere uno dei tanti prodotti di quest’epoca e del suo “discorso”, dello “Spirito del tempo” jaspersiano, dello Zeitgeist. Questa società è caratterizzata dalla logica del consumo, dove sempre di più l’individuo perde la sua specifica identità, la sua particolarità, per assumere un carattere di serialità.
La “mancanza a essere” dell’individuo è uno degli insegnamenti fondamentali della clinica di Lacan, principio secondo il quale il soggetto è strutturalmente mancante e proprio per questo “desiderante”, di un desiderio soggettivato, individuale, unico, che unicamente si esprime nell’incontro con l’Altro e nel desiderio di mancare all’Altro, di essere significato in quanto soggetto particolare. Poiché mancanza a essere, il desiderio non può essere mai del tutto soddisfatto, permettendone la continuità e l’inesauribilità, non può essere ridotto a desiderio di qualcosa, di un oggetto, ma domanda il segno del desiderio dell’Altro. La società capitalista agisce proprio su questa specifica dimensione, operando una riduzione della mancanza a vuoto, della mancanza a essere alla mancanza dell’oggetto, che è anche quella propriamente implicata nel discorso anoressico-bulimico. La mancanza è ridotta a domanda. La società produce sempre nuovi ideali che si basano sull’immagine, sull’estetica, sul mostrarsi in un determinato modo, in un primato dell’apparire e dell’avere sull’essere. Questa posizione è mostrata dalla posizione anoressica, che si riduce ad un vuoto del corpo, tangibile, sempre a disposizione, sotto gli occhi di tutti. Un vuoto però dal quale la dimensione dell’Altro è tagliata fuori, fine a sè stesso e senza dialettica con l’esterno. Una ricerca di un’immagine ideale che non è mai raggiunta, di una magrezza che non è mai abbastanza.
L’anoressica si sottrae alla logica capitalista non consumando niente, ma finisce per ridursi lei stessa a quel feticcio tanto esibito in questa società.
Il vuoto come tale implica anche di poter essere saturato, di dover essere riempito con oggetti, così la logica capitalista propone sempre nuove forme di consumo pronte ad essere utilizzate per questo scopo. Obiettivo che si rivela illusorio perché non è mai realmente raggiunto, il vuoto non è mai completamente riempito, sono sempre pronte nuove forme di “oggetti” che alimentano il vuoto, in un movimento circolare ingannevole e senza fine, tipico del consumismo, in una continua ricerca dell’ultima cosa disponibile sul mercato. Un’attenzione a quello che c’è di “nuovo”, questo è quello che caratterizza il consumismo, la “frammentarietà dell’esperienza”. Questa posizione è evidenziata dal discorso bulimico che cerca di riempire questo vuoto del corpo con l’oggetto-cibo in modo compulsivo, non soggettivato, per poi ricreare il vuoto con le pratiche d’eliminazione, al solo scopo di renderlo nuovamente disponibile ad essere colmato. È un movimento appunto circolare, che non trova un suo limite.
Il discorso anoressico-bulimico è il segnale di un rapporto col cibo che si è modificato nella società contemporanea, di cui l’anoressia-bulimia è una delle sue espressioni più evidenti.
Nelle società occidentali vi è stata, negli ultimi decenni, una liberazione dalla paura della fame e il cibo non è più un bisogno che rischia di non essere soddisfatto. Questo si accompagna ad una progressiva standardizzazione del cibo, prodotto dalle industrie per una distribuzione di massa. Il cibo che entra nelle case è tutto uguale, perché viene comprato nei supermercati in cui si trovano solo alimenti prodotti in serie. Aumentano le catene di ristorazione e si mangia sempre più spesso fuori casa per esigenze lavorative. Questi sono solo alcuni dei fenomeni che progressivamente hanno cancellato la tradizione della cucina, alterando la legge della commensalità, cioè l’atto di mangiare come dimensione intersoggettiva, in cui il cibo è preparato secondo rituali che si tramandano lungo le generazioni, un atto quindi d’incontro con l’altro. Una pratica quotidiana che si svolge all’interno della famiglia, in accordo con le tradizioni proprie e della società in cui è immersa, in un incontro quindi anche con l’Altro, con le leggi che governano la società, gli orari, il tipo di cibo “buono o cattivo” da mangiare, connotato di simboli e rituali. Il cibo è offerto come un oggetto che si può consumare senza limiti, fino a consumare anche la Cosa che in realtà è andata persa ed è impossibile da mangiare, in un’operazione illusoria alimentata dal consumismo.
Proprio questo tabù è mancante nel discorso anoressico-bulimico: l’anoressica infatti non mangia niente, “mangia il niente”, lo sminuzzare la portata in pezzi piccolissimi o mangiare le bucce sono solo piccoli esempi. Altro tratto tipico è il sottrarsi alla tavola dell’Altro, sia nella realtà che mentalmente, le bulimiche infatti mangiano tutto in modo indifferenziato e senza l’Altro, le abbuffate avvengono spesso di notte o quando si è soli in casa. Il soggetto “mangia il niente” per dimostrare che il desiderio non si estingue nella domanda. Il desiderio per sua natura si pone “al di qua” della domanda, perché in quanto mancanza a essere non può essere saturato con la soddisfazione del bisogno, infatti, il desiderio è quello di mancare all’Altro. Contemporaneamente è anche “al di là” della domanda, perché non può essere mai soddisfatto del tutto, rimane sempre qualcosa d’inappagato che lo rende perpetuo. Questo desiderio di mangiare qualcosa che va al di là del cibo, quel qualcosa che nel desiderio esula dal bisogno.
Allo stesso modo, nella bulimia c’è la ricerca di compensare la carenza d’amore dell’altro, inglobando compulsivamente l’oggetto reale identificato col cibo. Il soggetto cerca un modo per porre un limite ad una madre che risponde sul registro dell’avere, offrendo al bambino la soddisfazione dei bisogni con quello che ha. Nella posizione strutturale di nevrosi, l’anoressica cerca di suscitare nella madre una risposta sul registro dell’essere, cioè di ciò che le manca, che non ha.
Conclusioni
Come ho illustrato l’anoressia e la bulimia si presentano come due facce della stessa medaglia, in un unico discorso anoressico-bulimico.
All’apparenza il disturbo alimentare, come dice la definizione stessa, sembra un problema col cibo, che occupa completamente la mente della persona e rischia di essere l’unico fattore che attira l’attenzione dell’Altro.
Abbiamo visto che il cibo, per il soggetto, rappresenta qualcosa che va ben al di là dell’oggetto in sè, il desiderio di apparire magra nasconde qualcosa di diverso dal voler apparire uguale alle modelle che appaiono sulle copertine dei giornali. Sono identità con le quali il soggetto s’identifica nella ricerca di aggirare una delle operazioni fondamentali perché la persona diventi soggettivata: il taglio significante, ovvero il lasciar cadere l’idea dell’onnipotenza del rapporto madre bambino durante l’infanzia per accedere ad una soggettivazione individuale. Questa operazione pone il soggetto in una condizione di perdita, che porta al desiderio di recuperare quello che manca, sublimando ciò che è perso per sempre. Questa è l’operazione che l’anoressica e la bulimica non riescono a fare, cioè a separarsi dalla madre e dall’oggetto di soddisfazione primaria. Non riescono ad accettare la mancanza e la eliminano dalla dialettica con l’altro, richiudendosi in una spirale ripiegata su se stessa, in un rapporto con l’oggetto-cibo che va evitato nell’anoressia, mangiando il niente, o divorato e poi rigettato nella bulimia, mangiando il tutto che poi si rivela niente. Ma questo movimento, com’è evidente, esclude l’Altro del desiderio, in modo da tenere fuori la mancanza che sarebbe portatrice di castrazione, di perdita. Questa difesa ostinata dell’unione con la Cosa porta il soggetto ad un godimento mortifero, difeso a volte fino alla morte. Un approccio che si fermi al sintomo non offre la possibilità di accedere al soggetto diviso dell’inconscio, che è sommerso dal sintomo-segno congelato, in dialettica solo con sé stesso.
Solo aprendo un varco in questa direzione c’è la possibilità per l’anoressica e la bulimica di dare un senso alla sofferenza che sta dietro a quello che si vede, di assumere la sua implicazione in quello che le accade. Questo concede la possibilità di intraprendere un cammino di cura e di guarigione, molto difficile per com’è articolato il discorso anoressico-bulimico, ma che offre la possibilità di cominciare a desiderare, accettando di perdere qualcosa.
Dott. D’Alisa – Psicologo- Coautore e Revisore Scientifico
Durante la mia carriera mi sono confrontato con realtà molto diverse tra loro, dalle prime esperienze in ospedale all’ambiente scolastico. Mi sono occupato di orientamento, prevenzione di disturbi e disagi a sostegno del benessere individuale e sociale. Ho utilizzato test e colloqui per comprendere meglio le caratteristiche di ogni individuo e individuare l’approccio più adeguato. Ho sempre pensato che l’incontro con uno Psicologo per molti può essere una possibilità per ripartire-
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